Il destino bussa alla porta

Questa settimana, guidati da Simone Schermi, violinista del conservatorio di Genova, abbiamo forse toccato una delle nostre vette. Ascoltare insieme la Sinfonia n. 5 di Beethoven, con brevi intermezzi di introduzione ai tempi e ai movimenti, ha reso vero quello che Platone diceva 2200 anni prima di Beethoven: La musica è per l’anima quello che la ginnastica è per il corpo.

Nell’epoca del workout e delle palestre a suon di rap, dubstep e musica che pompa, abbiamo bisogno anche di altre armonie, più sottili, più lucide e inaspettatamente potenti. Con qualche pregiudizio, forse perché un po’ analfabeti, possiamo chiudere gli occhi per dieci minuti e entrare ogni tanto in un mondo che forse ci eravamo persi per i troppi rumori di fondo.
Ma servono strumenti per ascoltare, apprezzare e, perché no, affinare un po’ il palato. E quindi grazie Simone e non pensare di cavartela con una sola puntata!

ps. Il destino che bussa alla porta? È il senso di quel ta-ta-ta-ta dirompente che attraversa questa sinfonia in modo quasi ossessivo. Come la morte (o la sordità per Beethoven). Non lo ricordate? Ma sì…

Quale sarà la tua impronta?

Jam Session di fine marzo. Il regalo di queste ore di improvvisazione culturale è continuare a imparare, ascoltando liceali che insegnano (e cercando di non interromperli troppo!).

Per questo mese, ho scoperto Maria Luisa Spaziani, potente (vedi sotto).
La musica 8D, che pensavo fosse uno scherzo, ma ascoltare per credere. Non ho resistito a una versione della colonna sonora di Interstellar (già scomparsa dal youtube purtroppo).
Un pezzo di Sung Eun Choi che, non ce ne voglia sul chi viene prima e chi viene dopo, ad alcuni ha ricordato Anastasio.
E questo TEDx sull’entropia direttamente dal Politecnico di Milano.

E poi abbiamo discusso, una intuizione dietro l’altra, dall’inferno senza fiamme al tempo di Bergson e la sua reversibilità, per poi parlare di quel fatale grigio che a volte ci schiaccia e che non sembra possa essere undone, disfatto, come il tempo che scorre e non torna…
Divagazioni a ruota libera alla ricerca di una chiave (qualcuno ha detto Caparezza?), perché se il mondo è senza senso / tua è la vera colpa.

Ogni jam session è un’occasione per parlare di ciò che è profondamente umano, si cominci dalla musica, dalla fisica o dalla poesia, senza paura. Per dare un senso, o almeno provarci.
Aspetto la prossima puntata con impazienza.

L’indifferenza è inferno senza fiamme.
Ricordalo scegliendo
fra mille tinte il tuo fatale grigio.

Se il mondo è senza senso,
tua è la vera colpa.
Aspetta la tua impronta
questa palla di cera.


Maria Luisa Spaziani

Frailty, thy name is woman – Hamlet act 1 scene 2

Un testo mai letto prima, sei ragazzi, un palco improvvisato e la magia accade: lo spettro del padre di Amleto che comincia a passeggiare e scrutarci come se stesse aspettando le nostre voci da secoli. Sedicenni che non sapevano di poter dar vita a dialoghi così potenti, increduli di fronte a tanta bellezza liberata in un pomeriggio genovese qualunque, eppure…

Abbiamo sperimentato la lettura ad alta voce, copione alla mano, come si fa a Hollywood al primo incontro tra attori che hanno firmato per un nuovo film. Abbiamo letto, improvvisato, interpretato e il tempo non bastava. Atto primo, scena prima, seconda e terza (sì, perché la terza ci sta anche se siamo in ritardo, guarda quanto è corta).

Nessuno voleva andarsene, ma abbiamo dovuto interrompere, gli usi di questo mondo chiamavano con insistenza. Ma non c’è pericolo: è stata solo la puntata pilota di una nuova serie. Amleto aspetta, suo padre pure, ci vediamo settimana prossima, ma non ci trovate su Netflix.

E per chi avesse nostalgia, ecco un passo che farà venir voglia di (ri)leggere:

AMLETO – Oh se questa troppo troppo putrida carne potesse sciogliersi,
o se l’eterno non avesse decretato
il suo comandamento contro il suicidio. O Dio, Dio,
come fiacchi, stantii, flaccidi e inutili
mi sembrano tutti gli usi di questo mondo!
Che orrore, oh orrore, è un giardino pieno d’erbacce
che va in seme, cose ripugnanti e volgari in natura
lo possiedono tutto. Che si dovesse arrivare a questo –
morto soltanto da due mesi, no, non da tanto, non due –
un re così eccelso, in confronto a questo
un Iperione con un satiro, così amante di mia madre
che non avrebbe concesso ai venti del cielo
di visitare il suo volto troppo bruscamente. Cielo e terra,
debbo io ricordare? Che si aggrappava stretta a lui
come se il suo appetito crescesse
mentre se ne cibava, eppure in un solo mese –
non ci devo pensare – fragilità, il tuo nome è donna.

 

HAMLET – O, that this too too solid flesh would melt
Thaw and resolve itself into a dew!
Or that the Everlasting had not fix’d
His canon ‘gainst self-slaughter! O God! God!
How weary, stale, flat and unprofitable,
Seem to me all the uses of this world!
Fie on’t! ah fie! ‘tis an unweeded garden,
That grows to seed; things rank and gross in nature
Possess it merely. That it should come to this!
But two months dead: nay, not so much, not two:
So excellent a king; that was, to this,
Hyperion to a satyr; so loving to my mother
That he might not beteem the winds of heaven
Visit her face too roughly. Heaven and earth!
Must I remember? why, she would hang on him,
As if increase of appetite had grown
By what it fed on: and yet, within a month–
Let me not think on’t–Frailty, thy name is woman!–

Quando tutto questo finirà

Chiuso fra cose mortali

(Anche il cielo stellato finirà)

Perché bramo Dio?

– G. Ungaretti

C’è una sottile linea rossa che unisce Ungaretti e Anastasio. L’abbiamo scoperto durante l’ultima jam session. Una preghiera, poche parole appena abbozzate, domande a Dio silenziose e profondissime.

Non male per dei filosofi-liceali.

oh Dio delle acque
purifica i nostri cuori
il tuo mare annegato di sale rigurgita plastiche multicolore
oh Dio della notte ridacci le stelle, spegni le luci della città
spegni i lampioni, le case, le insegni ed i cartelloni di pubblicità

Quando tutto questo finirà
nessuno si ricorderà il mio nome
quando tutto questo finirà
nessuno si ricorderà il mio nome

– Anastasio